Penale

Mae, il Gip non ha poteri sulla misura cautelare

Francesco Machina Grifeo

A seguito di richiesta di mandato di arresto europeo, il giudice per le indagini preliminari non ha il potere di mutare la misura cautelare in corso. Lo ha stabilito la Cassazione, sentenza n. 10473 di oggi, segnalata per il "Massimario". Inammissibile dunque il ricorso di un uomo agli arresti domiciliari per reati collegati alla droga contro l'ordinanza del Tribunale del riesame che, accogliendo il ricorso del Pm, aveva annullato la più favorevole misura dell'obbligo di dimora disposta dal Gip del tribunale di Brindisi in sede di rigetto del Mae.

La Terza Sezione penale ricorda che il mandato d'arresto europeo «è una decisione giudiziaria emessa da uno Stato membro dell'Unione europea, in vista dell'arresto e della consegna da parte di un altro Stato membro, di una persona, al fine dell'esercizio di azioni giudiziarie in materia penale o dell'esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà personale». E che, ai sensi dell'articolo 29, comma 1, della legge 69/2005, «l'autorità giudiziaria competente emette il mandato d'arresto europeo quando risulta che l'imputato o il condannato è residente, domiciliato o dimorante ne territorio di uno Stato membro dell'Unione europea».

Dunque, prosegue la sentenza, «all'atto della richiesta di emissione del mandato d'arresto europeo il giudice per le indagini preliminari è tenuto solo a verificare l'esistenza di tale presupposto». Gli articolo 28 e seguenti della legge 69/2005, del resto, «non prevedono il potere del giudice adito per remissione del mandato di arresto europeo di procedere di ufficio alla revoca o alla sostituzione della misura cautelare genetica».

Il Tribunale del riesame, conclude la decisione, «ha pertanto correttamente applicato l'art. 299 cpp ritenendo che il giudice per le indagini preliminari non avesse il potere di ufficio di sostituire la misura cautelare in atto a seguito della richiesta di emissione del mandato d' arresto europeo».

Corte di cassazione – Sentenza 23 marzo 2020 n. 10473

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