Penale

Il nodo della configurabilità sul tentativo di reato fiscale

di Antonio Iorio

Le nuove ipotesi di tentativo di dichiarazione fraudolenta e dichiarazione infedele, introdotte con il decreto di recepimento della direttiva sulla tutela penale degli interessi finanziari Ue, approvato dal Consiglio dei ministri nella serata del 6 luglio (si veda «Il Sole 24 Ore» dell’8 luglio) non sembrano, in pratica, agevolmente configurabili.

Le novità, per quanto attiene la normativa penale tributaria riguardano due profili: introduzione del delitto tentato per alcuni reati tributari; estensione ad altri reati tributari della normativa sulla responsabilità degli enti (decreto legislativo 231/2001).

L'articolo 6 del Dlgs 74/2000 ha previsto, a suo tempo, che i delitti di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture false e con altri artifici e di dichiarazione infedele non fossero mai puniti a titolo di tentativo. Ciò, in coerenza con un principio direttivo contenuto nella legge delega del tempo, che intendeva delimitare la rilevanza penale alla sola presentazione della dichiarazione senza estenderla (come in passato) ai fatti prodromici.

Escludendo il tentativo, in altre parole, il contribuente che in corso d'anno (quando ancora la dichiarazione non è stata presentata) omette di fatturare o riceve fatture false non può essere perseguito penalmente. L'oggetto della tutela penale è infatti costituito per questi reati dalla presentazione della dichiarazione in quanto è con tale atto che si quantifica l'imposta dovuta e quindi si consumano effettivamente le reali condotte evasive.

Ora, secondo il decreto, salvo che il fatto integri l'emissione di false fatture, il tentativo si applica quando gli atti diretti per commettere i reati di dichiarazione fraudolenta e dichiarazione infedele siano compiuti anche in territorio estero ai fini di evadere l'Iva per un valore complessivo non inferiore a 10 milioni di euro.

Ne consegue che se prima della presentazione della dichiarazione si ometta la contabilizzazione di ricavi con Iva evasa non inferiore a 10 milioni di euro ovvero siano contabilizzate fatture false (con evasione Iva non inferiore ai citati 10 milioni), si avranno i delitti tentati rispettivamente di dichiarazione infedele e fraudolenta. In ogni caso (oltre alla soglia dei 10 milioni) è necessario l'elemento della transnazionalità.

In concreto però non sembra agevole ipotizzare questi delitti. Innanzitutto, l'elemento della transnazionalità («anche nel territorio di altro Sato membro») dovrebbe comportare che la condotta illecita si realizzi in un Paese estero oltre che in Italia. Tuttavia, la previsione che in altro Stato estero debbano realizzarsi solo «gli atti diretti a commettere i delitti» ma non l'illecito vero proprio dovrebbe far presupporre che la potenziale evasione vada ipotizzata in Italia. Se, infatti, nello stesso Stato si eseguissero sia gli atti diretti a commettere i delitti, sia la possibile consumazione del reato (presentazione della dichiarazione) la norma non troverebbe applicazione per assenza della transnazionalità.

Vi è poi un'ulteriore complicazione: il tentativo è escluso ove il fatto integri il reato di emissione di documenti falsi. Non è chiaro se l'emissione debba verificarsi simultaneamente in capo all'utilizzatore o in capo a qualunque soggetto emittente.

Aderendo alla prima interpretazione, la normativa troverebbe applicazione in ipotesi quasi scolastica: lo stesso contribuente dovrebbe sia emettere, sia dedurre come costo, il medesimo documento (falso) peraltro facendo riferimento a due Stati Ue differenti. Condividendo invece la seconda interpretazione, che appare la più verosimile, di fatto si escluderebbe quasi sempre il tentativo di dichiarazione fraudolenta in quanto se viene contabilizzata una falsa fattura dall'acquirente qualcuno avrà commesso il reato di emissione del medesimo documento escludendo così l'operatività della nuova previsione.

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