Professione e Mercato

Procura alle liti, vizi sempre sanabili

Francesco Machina Grifeo

È sempre sanabile la nullità della procura alle liti grazie all'obbligo, previsto dal codice di procedura civile, di concedere all'uopo un termine da parte del giudice. Solo in casi estremi, quali per esempio la costituzione in assenza del difensore, si ricade nella diversa ipotesi della inesistenza della procura, con conseguente carenza dello ius postulandi. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 16252 depositata il 29 luglio, dettagliando meglio un precedente orientamento. Accolto dunque il ricorso di un lavoratore, licenziato dalla propria azienda, contro la decisione della Corte di appello di Bologna che aveva accolto l'eccezione sollevata dal suo datore di lavoro relativa al difetto dello ius postulandi.

In particolare, nella procura dopo le parole «nel presente procedimento» si leggeva «di fallimento». Ebbene per il giudice di secondo grado ciò la rendeva invalida e non sanabile in quanto riferita ad altro procedimento.

Di tutt'altro avviso la Sezione lavoro della Corte che ricorda come l'attuale formulazione dell'articolo 182, comma secondo, del Cpc prevede che il giudice, quando rileva un difetto di rappresentanza, di assistenza o di autorizzazione ovvero un vizio che determina la nullità della procura al difensore, debba assegnare alle parti un termine perentorio per sanare il difetto o per il rilascio della procura alle liti o ancora per la rinnovazione.
Dunque, prosegue la decisione, «dall'interpretazione letterale della norma si evince la previsione della sanatoria dei vizi della procura, attraverso l'assegnazione di un termine da parte del giudice, anche quando la procura sia del tutto mancante». In caso contrario, continua la Corte, «non si spiegherebbe il richiamo testuale all'assegnazione del termine per 'il rilascio della procura o per la rinnovazione della stessa'».

Il giudice è dunque investito del potere officioso di verificare la corretta instaurazione del contraddittorio, rilevando, sin dalla fase iniziale, i vizi degli atti processuali relativi allo ius postulandi e consentendo alla parte di emendarli. In tal modo, approdando anche ad una visione meno formalistica e più snella del processo che evita il «proliferare di giudizi a seguito della dichiarazione di nullità della procura».

Del resto, mentre il testo previgente prevedeva la possibilità di regolarizzazione della procura solo nei casi di difetto di rappresentanza, assistenza ed autorizzazione, l'attuale formulazione estende la sanatoria ai casi di assenza della procura ed anche ai casi di rinnovazione.

Tornando alla questione specifica, scrive la Corte: «la procura non difettava dei requisiti minimi e non presentava alterazioni così gravi da poter dubitare della sua esistenza giuridica e da impedire che l'atto fosse suscettibile di sanatoria». Al contrario, «consentiva di accertare un collegamento tra il soggetto che l'aveva conferita ed il procedimento per la quale era stato speso lo ius postulandi in quanto si riferiva a "questo procedimento" ed era allegata al ricorso redatto per l'impugnativa del licenziamento».

La categoria della nullità (sanabile) va dunque considerata "pervasiva" dal momento che sono del tutto "estreme e residuali" le ipotesi di inesistenza, riconducibili unicamente ai casi in cui ab origine difetti anche l"apparente" sussistenza dello ius postulandi.

In conclusione, ad avviso del Collegio, «va distinta l'ipotesi in cui si versi in un caso di nullità della costituzione in giudizio di una parte rappresentata e difesa da un avvocato ma senza che sia stata rilasciata la procura in suo favore nelle forme di legge, il cui vizio è, perciò, sanabile attraverso la successiva regolarizzazione mediante il conferimento di un'apposita procura in un termine perentorio concesso dal giudice proprio in virtù di quanto sancito dal citato art. 182 c.p.c., dall'ipotesi in cui, invece, la parte appellante si sia illegittimamente costituita, fin dall'origine, ad esempio, personalmente, senza nemmeno l'apparente rappresentanza tramite un difensore legalmente esercente ed abilitato e, quindi, senza neppure il conferimento di un - sia pure soltanto meramente affermato - ius postulandi in favore di apposito legale». «In tale ultimo caso, infatti, la costituzione si deve ritenere, in grado di appello, inammissibile ab initio, con conseguente sua insanabilità per effetto di una non consentita successiva attività di regolarizzazione».

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