Amministrativo

Stop all’accesso civico per “chiedere venia”

di Pietro Alessio Palumbo

Sebbene la legge non chieda all'interessato di motivare formalmente l'istanza di accesso generalizzato, la richiesta va rigettata quando non risulta in modo chiaro e inequivoco la sua rispondenza al soddisfacimento di un interesse di valenza pubblica. E si badi, è estranea al perimetro della fattispecie dell'accesso civico generalizzato, la strumentalità anche solo concorrente a un bisogno conoscitivo privato. Ma non è tutto. A ben vedere rientra tra i bisogni conoscitivi individuali, come tali non rivolti a promuovere la partecipazione al dibattito pubblico che è la ratio stessa dell'accesso civico, l'esigenza di verificare la correttezza del proprio operato professionale al fine di dover, se del caso, "chiedere venia" ai soggetti coinvolti. Persino se si tratta di una propria segnalazione da cui è scaturito un procedimento disciplinare, successivamente archiviato. In una vicenda che vede direttamente coinvolte altissime professionalità del mondo del diritto, con la sentenza n. 2309 del 6 aprile 2020, il Consiglio di Stato puntella innovativi termini disciplinari al recente istituto dell'accesso civico generalizzato.

La vicenda - Il sostituto procuratore generale presso la Suprema Corte di cassazione, attualmente in quiescenza, aveva inoltrato al Procuratore generale presso la Corte di cassazione una segnalazione disciplinare nei confronti di alcuni magistrati. Segnalazione che veniva archiviata. Di conseguenza il magistrato proponeva istanza di accesso all'archiviazione motivando con l'interesse: a verificare la correttezza del proprio operato professionale; ad accertare se sussistendo esaustive ragioni per archiviare la segnalazione disciplinare, egli dovesse rammaricarsi del proprio operato e chiederne venia ai magistrati interessati; e infine per effettuare utili approfondimenti giuridici di natura teorica.

Il Procuratore generale rigettava l'istanza. Il magistrato proponeva ricorso al Tar Lazio che tuttavia respingeva. A questo punto il magistrato si appellava in seconde cure al Consiglio di Stato deducendo per di più l'erroneità della condanna alle spese di lite in considerazione delle ragioni dell'iniziativa quale espressione di passione civica e testimonianza del suo storico spirito di servizio.

La decisione - Nel nostro ordinamento giuridico sono oggi coesistenti tre modelli di accesso ai documenti. Ciascuno caratterizzato da propri presupposti, limiti ed eccezioni: l'accesso documentale ordinario; l'accesso civico ai documenti oggetto di pubblicazione; l'accesso civico generalizzato. Dunque, accanto all'accesso tradizionale previsto dalla legge sul procedimento amministrativo e caratterizzato dalla stretta ed esclusiva strumentalità agli interessi individuali dell'istante, posto in una posizione differenziata rispetto agli altri cittadini, sono stati introdotti due strumenti con profilo di tutela, invece, dell'interesse generale.

Segnatamente l'accesso civico ordinario, è imperniato su obblighi di pubblicazione gravanti sulla pubblica amministrazione e sulla legittimazione del cittadino a richiederne l'adempimento; l'Accesso civico generalizzato è azionabile da "chiunque" senza previa dimostrazione della sussistenza di un interesse personale, concreto e attuale in connessione con la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti e senza oneri di motivazione della richiesta, con lo scopo precipuo di consentire il controllo diffuso e integrale sull'operato della pubblica amministrazione.

Sono poi diverse le tecniche di bilanciamento degli interessi contrapposti che giustificano il possibile "divieto d'Accesso".

Per l'accesso privato ai documenti amministrativi la legge ha preventivamente individuato le categorie sottratte. Per contro, la disciplina dell'accesso generalizzato non reca prescrizioni puntuali, bensì individua categorie di interessi, pubblici e privati in presenza dei quali il diritto di accesso può essere negato e rinvia a un atto amministrativo non vincolante - le Linee-guida Anac - per precisare ulteriormente l'ambito operativo dei limiti e delle esclusioni. L'istanza di ostensione va dunque disattesa se l'interesse generale della collettività non emerge in modo chiaro ed evidente, oltre che, e a maggior ragione, se è stata proposta per finalità di carattere privato e individuale.

In altre parole lo strumento dell'accesso civico generalizzato può essere utilizzato solo per ragioni di tutela di interessi della collettività e non per favorire interessi riferibili a singoli individui. E nel caso in esame, evidenzia il Consiglio di Stato, per espressa affermazione dello stesso richiedente, si tratta proprio di istanza volta al soddisfacimento di interessi personali ("interesse dello scrivente") per verificare la correttezza del proprio operato professionale ovvero per effettuare approfondimenti teorico-dottrinari sulla specifica questione giuridica. Interessi che, si badi bene, sebbene e certamente non sono contra legem, sono tuttavia discordanti dall'ambito di legittima operatività dell'istituto dell'accesso civico generalizzato.

Consiglio di Stato - Sezione V - Sentenza 6 aprile 2020 n. 2309

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