Civile

Cassazione: inammissibili i ricorsi farraginosi

di Patrizia Maciocchi

È inammissibile il ricorso scritto con parole tanto oscure da essere sconosciute anche ai giudici di legittimità. La Corte di cassazione, con la sentenza 9996, torna sull’annoso problema dei ricorsi incomprensibili. E punisce con l’inammissibilità, un ricorso la cui «irresolubile farraginosità» nell’esposizione dei fatti, impedisce alla Suprema corte di esaminarlo.

Nel mirino dei giudici del Palazzaccio finisce un atto che aveva lo scopo, non raggiunto, di opporsi ad un decreto ingiuntivo. Uno scritto nel quale mancano le ragioni dell’opposizione e le tesi sostenute dalla difesa in primo grado che tuttavia, secondo il ricorrente, «debbono aversi qui per trascritte». Quello che invece non manca sono i riferimenti ridondanti a fatti e circostanze del tutto irrilevanti ai fini della decisione. A questo si uniscono parole, come «preverbale», che la Cassazione bolla «lemma ignoto alla Corte». Un ricorso concepito in modo incoerente nei contenuti ed oscuro nella forma, che induce i giudici a ricordare che coerenza di contenuti e chiarezza sono invece elementi imprescindibili per arrivare a sentenza.

E questo «non solo per il nostro ordinamento, ma in tutte le legislazioni degli ordinamenti economicamente avanzati». E la Corte non manca di fare gli esempi a supporto di un’esigenza di linearità che non conosce confini. Dal codice del processo amministrativo, che impone chiarezza e sintesi, alla «Guida per gli avvocati» approvata dalla Corte di giustizia dell’Unione europea. Un vademecum con il quale si detta la linea per i ricorsi davanti ai giudici di Lussemburgo, che vanno redatti in modo tale da consentire alla Corte Ue di cogliere i punti essenziali di fatto e di diritto, senza imporre agli eurogiudici inutili perdite di tempo.

Esigenza avvertita non solo dalle toghe del vecchio continente. A chiedere ricorsi smart e di agevole lettura sono anche i magistrati degli Stati uniti.

Una strada tracciata con la Rule 8, delle «Federal Rules of Civil Procedures», che raccomanda una breve e semplice esposizione della domanda. La regola – sottolinea la Suprema corte – è applicata così rigorosamente nell'ordinamento statunitense che, nel caso Stanard v Nygren, la Corte d’Appello del VIII Circuito Usa, ritenne inammissibile per «lack of punctuation» (difetto di punteggiatura) un ricorso nel quale almeno 23 frasi contenevano 100 o più parole, ritenuto troppo confuso per stabilire i fatti che il ricorrente sosteneva. Gli avvocati sono avvertiti.

Corte di cassazione – Sezione VI – Sentenza 13 maggio 2020 n.9996

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