Civile

Il «ne bis in idem» vale anche in caso di decreto ingiuntivo

di Antonino Porracciolo

Attenzione a tenere in vita due processi nella speranza di ottenere almeno una pronuncia favorevole, giacché l’esito negativo di uno potrebbe travolgere il provvisorio risultato positivo dell’altro. Infatti, la regola del “ne bis in idem” impone al giudice del processo ancora in corso di prendere atto della conclusione dell’altra lite e quindi di chiudere la causa con una pronuncia solo di rito. È questa la conclusione a cui è giunta la Corte d’appello di Napoli (presidente Pizzella, relatore Marinaro) nella sentenza 2416 del 30 giugno.

Il caso
La controversia scaturisce dalla domanda con cui l’appellante, attrice in primo grado, nel 2008 aveva chiesto al Tribunale di Napoli sia l’accertamento dell’insussistenza del credito vantato nei suoi confronti da una Spa che gestisce la fornitura di un’utenza pubblica, sia, quindi, l’immediata riattivazione dell’erogazione sospesa. Dal canto suo, la società aveva chiesto il rigetto della domanda e, in via riconvenzionale, la condanna dell’attrice al pagamento della somma dovuta per la fornitura.

Il tribunale aveva respinto entrambe le domande. L’attrice ha allora presentato appello, eccependo che sulla questione si era già pronunciato il giudice di pace nel 2011, accogliendo una sua opposizione contro il decreto con il quale le era stato ingiunto, in favore della Spa, il pagamento della stessa somma di denaro richiesta dalla società nella controversia davanti al tribunale.

Il giudice di pace
Nell’accogliere l’eccezione, la Corte rileva che dopo l’inizio della causa di primo grado, ma prima della pronuncia della decisione impugnata, la Spa aveva chiesto e ottenuto dal giudice di pace un provvedimento monitorio che ingiungeva alla donna il versamento dell’identico importo - si trattava di poco più di mille euro - richiesto dalla stessa società in via riconvenzionale nel precedente grado del processo. Tuttavia, nella successiva causa di opposizione (articolo 645 del Codice di procedura civile) il giudice accoglieva le istanze della donna, dichiarando l’illegittimità del distacco della fornitura.

I giudici d’appello richiamano quindi la giurisprudenza della Cassazione (tra cui la sentenza 16847/2018), per la quale l’esistenza del giudicato esterno è, a prescindere dalla posizione assunta in giudizio dalle parti, rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo anche nell’ipotesi in cui il giudicato si sia formato dopo la pronuncia della sentenza impugnata, trattandosi di un dato «destinato a fissare la regola del caso concreto». Tant’è - proseguono i giudici di legittimità - che il suo accertamento non solo non costituisce «patrimonio esclusivo delle parti», ma anzi «corrisponde a un preciso interesse pubblico», e cioè l’«eliminazione dell’incertezza delle situazioni giuridiche».

Nel caso in esame, l’appellante ha dimostrato che la sentenza del giudice di pace era passata in giudicato. E poiché nei due giudizi sono identiche sia le parti in lite sia le reciproche richieste (nonché i titoli delle stesse), alla Corte di Napoli non resta che applicare la regola del “ne bis in idem” e quindi dichiarare l’impossibilità di proseguire il processo.

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