Civile

Medici, "straordinari" senza retribuzione extra ma con possibilità di risarcimento

Francesco Machina Grifeo

Nel pubblico impiego privatizzato, lo svolgimento di straordinari da parte della dirigenza medica non fa nascere diritti retributivi ulteriori rispetto a quanto già previsto come retribuzione di risultato. Qualora invece le prestazioni aggiuntive avvengano in violazione di norme specifiche danno luogo al risarcimento del danno. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 16711 depositata oggi che ha respinto il ricorso di sei dirigenti dell'Azienda Ospedaliera Universitaria di Ferrara che chiedevano il pagamento degli straordinari svolti dal gennaio 2004 al giugno 2008 o, in subordine, il risarcimento del danno.

Confermato dunque il giudizio della Corte d'Appello di Bologna. Con riguardo alla domanda di pagamento a titolo retributivo, la Corte territoriale ha richiamato l'approdo della giurisprudenza di legittimità che, sia per dirigenti medici apicali, sia per quelli non apicali, aveva escluso il diritto al pagamento del lavoro straordinario, in quanto assorbito dalle previsioni della contrattazione collettiva che attribuivano una retribuzione di risultato compensativa anche dell'eventuale superamento dell'orario lavorativo. Quanto alla domanda di risarcimento la Corte felsinea ha poi escluso che il danno potesse essere ritenuto in re ipsa.

E, nel caso di specie, al di là dei tabulati da cui sarebbe risultata la prova delle ore lavorate in eccesso, "non risultava allegato alcun elemento ulteriore da cui desumere l'effettivo verificarsi di un pregiudizio quale conseguenza della condotta datoriale". "Né poteva essere ritenuta sufficiente la valutazione in termini assoluti del numero di ore prestate".

Contro questa decisione i medici hanno proposto ricorso in Cassazione che confermando la sentenza ha anche affermato un principio di diritto regolativo del lavoro extra della dirigenza medica. «Lo svolgimento di lavoro straordinario, inteso quale prestazione eccedente gli orari stabiliti dalla contrattazione collettiva – si legge nella sentenza -, non fa sorgere diritti retributivi ulteriori rispetto a quanto previsto a titolo di retribuzione di risultato o a titolo di specifiche attività aggiuntive (pronta disponibilità; guardie mediche; prestazioni autorizzate non programmabili etc.) ».

«Tuttavia – prosegue la Sezione Lavoro -, la sistematica richiesta o accettazione di prestazioni eccedenti i limiti massimi stabiliti dalla legge o dalla contrattazione collettiva rispetto alla misura (giornaliera, settimanale, periodale o annua) del lavoro o la violazione delle regole sui riposi, come anche, qualora tali norme non si applichino o, per talune scansioni temporali, manchino, lo svolgimento della prestazione secondo modalità temporali irragionevoli, rendono il datore di lavoro responsabile, ai sensi dell'art. 2087 c.c., del risarcimento del danno cagionato alla salute (art. 32 Cost.) o alla personalità morale (art. 35 e 2 Cost., in relazione all'art. 2087 c.c.) del lavoratore».

«Peraltro, mentre il danno da carattere gravoso o usurante della prestazione, quando sia allegata e provata la violazione sistematica di norme specifiche sui limiti massimi dell'orario o la violazione di norme sui riposi, è da ritenere in re ipsa; nel caso in cui viceversa – conclude - tali norme non siano applicabili o manchino, chi agisce, per ottenere il corrispondente risarcimento, è tenuto ad allegare e provare che le prestazioni, per le irragionevoli condizioni temporali, in una eventualmente al contesto in cui si sono svolte, sono state in concreto lesive della personalità morale del lavoratore».

Corte di cassazione – Sentenza 5 agosto 2020 n. 16711

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