Civile

Lodo arbitrale, alle Sezioni unite il termine lungo di impugnazione

Francesco Machina Grifeo

La Prima sezione civile della Cassazione, ordinanza n. 20104 depositata il 24 settembre, ha rinviato alle Sezioni Unite la questione della decorrenza del cosiddetto termine "lungo" per impugnare il lodo arbitrale. In particolare, la norma prevede la possibilità di impugnare la decisione entro un anno dalla sottoscrizione degli arbitri. E non, dunque, dalla conoscenza o dalla conoscibilità ad opera della parti. Inoltre, gli arbitri hanno dieci giorni per la comunicazione dell'esito alle parti mentre non è prevista una vera e propria "pubblicazione" della decisione, come avviene invece per le sentenze.

Secondo un primo orientamento, l'assunto dei ricorrenti per cui l'articolo 828, comma 2, Cpc andrebbe sottoposto a una interpretazione costituzionalmente orientata, nel senso di ritenere che il termine annuale debba decorrere dal momento in cui la parte abbia avuto conoscenza legale del lodo, non ha fondamento. Infatti, argomenta la Corte, in materia si possono prendere a prestito le considerazioni della Consulta in merito all' articolo 327, comma 1, Cpc, secondo cui esso opera un «non irragionevole bilanciamento tra l'indispensabile esigenza di tutela della certezza delle situazioni giuridiche e il diritto di difesa». Infatti, prosegue la Corte, l'ampiezza del termine annuale consente comunque al soccombente di informarsi tempestivamente della decisione che lo riguarda.

Una tesi intermedia, prosegue la decisione, è quella che prende in considerazione «la fisiologica decurtazione dal termine annuale decorrente dall'ultima sottoscrizione arbitrale dei dieci giorni concessi dalla legge agli arbitri per la comunicazione del lodo alle parti». Ma anche sottraendo dieci giorni all'anno solare, argomenta l'ordinanza, il termine appare comunque "congruo" per consentire alle parti di fare le proprie scelte. E se è vero che gli arbitri potrebbero ritardare dolosamente la comunicazione, va considerato che l'ordinamento consente a chi dimostra di essere incorso in una decadenza, per ragioni a lui non imputabili, di essere rimesso in termini.

Per la Prima sezione però l'ipotesi in cui si esclude che il termine prenda a decorrere prima della comunicazione rimane percorribile. In tal modo infatti si evita che la parte interessata «possa subire un pregiudizio per il mancato svolgimento di un'attività processuale in un ambito temporale nel quale ignora incolpevolmente di doverla svolgere». Tale tesi, prosegue il ragionamento, si alimenta di una recente pronuncia della Consulta (3/2015) che ha riconosciuto, ai fini del decorso dei termini, rilievo preminente al momento della pubblicazione della sentenza da parte del cancelliere, rispetto al deposito operato dal magistrato. Il ritardo, imputabile unicamente all'amministrazione, infatti non può riflettersi negativamente sul diritto all'impugnazione. Un tale ragionamento che vale per le sentenze civili, e si fonda sul relativo sistema di pubblicazione, secondo i giudici potrebbe estendersi anche al diverso caso del lodo. Considerato che le parti del procedimento arbitrale, per quanto solerti e diligenti, non hanno la possibilità di attivarsi periodicamente per verificare il deposito della decisione, mediante il controllo dei registri di cancelleria.
In subordine, conclude la Corte, se l'ostacolo semantico dovesse essere insuperabile, «potrebbe essere valutata come non manifestamente infondata a proposta questione di legittimità costituzionale della disciplina».

Corte di cassazione - Ordinanza 24 settembre 2020 n. 20104

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