Comunitario e Internazionale

Clausole abusive, valutabili anche quelle non contestate

di Marina Castellaneta

Accertamento d’ufficio da parte del giudice nazionale delle clausole abusive contenute nei contratti conclusi tra consumatore e professionista, ma a condizione che le clausole non impugnate siano connesse all’oggetto della controversia. Questo per rispettare il principio dispositivo e il divieto di pronunciarsi ultra petita. Lo ha stabilito la Corte di giustizia dell’Unione europea con la sentenza di ieri nella causa C-511/17 che chiarisce alcuni aspetti della direttiva 93/13 sulle clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori e bilancia intervento d’ufficio del giudice e limiti legati all’oggetto della controversia.

La vicenda nazionale riguarda una cliente di un istituto bancario che ha stipulato un contratto di mutuo ipotecario in valuta estera nel quale, però, la banca aveva incluso una clausola per modificare unilateralmente il contratto. La contraente aveva chiesto ai giudici ungheresi di dichiarare l’invalidità delle clausole e, dopo pronunce contrastanti, la Corte di Budapest-Capitale (Ungheria) ha sottoposto alla Corte Ue alcuni quesiti pregiudiziali sull’articolo 6 della direttiva 93/13, in base al quale le clausole abusive non vincolano il consumatore alle condizioni stabilite dalle legislazioni nazionali, anche se il contratto tra il consumatore e il professionista rimane valido a patto che possa sussistere senza le clausole controverse.

Sulla questione degli obblighi del giudice nazionale circa l’accertamento delle clausole abusive diverse rispetto a quelle contestate dalla consumatrice, la Corte Ue ha chiarito che il giudice nazionale deve esaminare d’ufficio il carattere abusivo di una clausola perché solo così si riequilibra la situazione di diseguaglianza tra il consumatore e il professionista e si garantisce un intervento positivo da parte di soggetti estranei al rapporto contrattuale. Detto questo, però, la Corte ha delimitato il raggio d’azione dei giudici nazionali che sono tenuti a rispettare i limiti dell’oggetto della controversia che va inteso «come il risultato che una parte persegue con le sue pretese, lette alla luce delle conclusioni e dei motivi presentati a questo fine». Questo perché l’effettività della tutela non può spingersi fino a ignorare o ad eccedere i limiti dell’oggetto della controversia come definito dalle parti nelle pretese avanzate. Pertanto, il giudice nazionale non è tenuto ad analizzare individualmente ogni altra clausola del contratto, non collegata. In caso contrario – osserva Lussemburgo – sarebbe violato il principio dispositivo che affida alle parti la definizione dell’oggetto della controversia e il principio del divieto di pronunciarsi ultra petita. In ogni caso, però, il giudice interno non deve procedere a una lettura formalistica delle pretese sottoposte al suo giudizio. Di conseguenza, anche se l’abusività di una clausola non è stata sollevata da un ricorrente, ma il giudice ha dubbi procede d’ufficio con misure istruttorie per accertare la natura delle clausole che hanno un nesso con l’oggetto della controversia. Tuttavia, chiariti i limiti, la Corte precisa che il legislatore nazionale può anche prevedere un esame d’ufficio «più esteso di quello che i giudici nazionali devono effettuare in forza della direttiva».

Corte Ue - Sentenza C 511/ 17

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