Comunitario e Internazionale

Vittime di violenza, ristoro "adeguato" dallo Stato anche ai propri cittadini

di Paola Rossi

Gli Stati membri devono riconoscere un indennizzo a tutte le vittime di reati intenzionali violenti, anche a quelle residenti nel territorio degli Stati stessi. L'indennizzo non deve necessariamente corrispondere al ristoro integrale dei danni, ma il suo importo non può essere puramente simbolico. Così si esprime la Grande sezione della Corte di giustizia dell'Unione europea nella sentenza Presidenza del Consiglio dei Ministri (C 129/19), pronunciata ieri, dichiarando, che scatta il regime della responsabilità extracontrattuale dello Stato membro per il danno causato dalla mancata trasposizione in tempo utile della direttiva 2004/80 nei confronti di vittime residenti in detto Stato membro. Inoltre, la Corte ha statuito che la previsione nazionale di un indennizzo forfettario alle vittime di reati intenzionali violenti, concesso in caso di stupro, non può ritenersi «equo ed adeguato» se fissato senza tenere conto della gravità delle conseguenze non rappresentando quindi un appropriato contributo al ristoro del danno materiale e morale subito.

La vicenda a quo - Una cittadina italiana residente in Italia, è stata vittima di violenza sessuale commessa nel territorio di tale Stato membro nel 2005. La somma di 50.000 euro che gli autori della violenza erano stati condannati a pagarle a titolo di risarcimento danni non le è stata però versata in quanto essi si sono resi latitanti. Nel febbraio del 2009, la donna ha citato in giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri, per ottenere il risarcimento del danno che essa affermava di avere subito in conseguenza della mancata trasposizione, in tempo utile, da parte dell'Italia, della direttiva 2004/80 . Nel corso di tale procedimento, la Presidenza del Consiglio dei Ministri è stata condannata in primo grado a versare alla vittima della violenza sessuale la somma di 90.000 euro, ridotta in appello a 50mila.

Il rinvio pregiudiziale - Chiamato a pronunciarsi su un ricorso per cassazione proposto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, il giudice del rinvio si interrogava, da un lato, sulla possibile applicazione del regime della responsabilità extracontrattuale di uno Stato membro a causa della trasposizione tardiva della direttiva 2004/80, nei confronti di vittime di reati intenzionali violenti che non si trovino in una situazione transfrontaliera. Dall'altro, tale giudice nutriva un dubbio in ordine al carattere «equo ed adeguato», ai sensi della direttiva 2004/80, della somma forfettaria di 4.800 euro prevista dalla normativa italiana per l'indennizzo delle vittime di violenza sessuale.

Responsabilità extracontrattuale per il ritardo statale - Per quanto riguarda la prima questione, la Corte ha anzitutto ricordato le condizioni che consentono di accertare la responsabilità degli Stati membri per i danni causati ai singoli da violazioni del diritto dell'Unione, ossia l'esistenza di una norma di diritto dell'Unione violata preordinata a conferire diritti ai singoli; una violazione sufficientemente qualificata di tale norma e un nesso di causalità tra tale violazione e il danno subito dai singoli. Nel caso di specie, tenuto conto del tenore letterale della direttiva 2004/80, del suo contesto e dei suoi scopi, la Corte ha segnatamente rilevato che, con tale disposizione, il legislatore dell'Unione aveva optato non per l'istituzione, da parte di ciascuno Stato membro, di un sistema di indennizzo specifico, limitato soltanto alle vittime di reati internazionali violenti che si trovano in una situazione transfrontaliera, bensì per l'applicazione, a favore di tali vittime, dei sistemi di indennizzo nazionali delle vittime dei predetti reati commessi nei rispettivi territori degli Stati membri. In esito alla sua analisi, essa ha considerato che la direttiva 2004/80 impone a ogni Stato membro l'obbligo di dotarsi di un sistema di indennizzo che ricomprenda tutte le vittime di reati intenzionali violenti commessi nel proprio territorio, e non soltanto le vittime che si trovano in una situazione transfrontaliera.

Dalle considerazioni che precedono, la Corte ha dedotto che la direttiva 2004/80 conferisce il diritto di ottenere un indennizzo equo e adeguato non solo alle vittime di tali reati che si trovano in una situazione siffatta, ma anche alle vittime che risiedono abitualmente nel territorio dello Stato membro nel quale il reato è stato commesso. Di conseguenza, purché risultino soddisfatte le altre due suddette condizioni, un singolo ha diritto al risarcimento dei danni causatigli dalla violazione, da parte di uno Stato membro, del suo obbligo derivante dalla direttiva 2004/80, e ciò indipendentemente dalla questione se tale singolo si trovasse o meno in una situazione transfrontaliera al momento in cui è stato vittima del reato di cui trattasi.

Adeguatezza dell'indennizzo - Per quanto attiene alla seconda questione, la Corte ha dichiarato che, in assenza, nella direttiva 2004/80, di una qualsivoglia indicazione in ordine all'importo dell'indennizzo che si presume «equo ed adeguato», tale disposizione riconosce agli Stati membri un margine di discrezionalità. Ciò nonostante, se è vero che tale indennizzo non deve necessariamente garantire un ristoro completo del danno materiale e morale subito dalle vittime di reati intenzionali violenti, esso non può tuttavia essere puramente simbolico o manifestamente insufficiente alla luce della gravità delle conseguenze del reato per tali vittime. Secondo la Corte, l'indennizzo concesso alle vittime in forza di tale disposizione deve infatti compensare, in misura appropriata, le sofferenze alle quali esse sono state esposte. A tale proposito la Corte ha inoltre precisato che un indennizzo forfettario delle vittime può essere qualificato come «equo ed adeguato» purché la misura degli indennizzi sia sufficientemente dettagliata, così da evitare che l'indennizzo forfettario previsto per un determinato tipo di violenza possa rivelarsi, alla luce delle circostanze di un caso particolare, manifestamente insufficiente.

Corte di giustizia dell'Unione europea – Grande Sezione - Sentenza 16 luglio 2020 – Causa C-129/19

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