Comunitario e Internazionale

Insolvenza transfrontaliera, fa testo la residenza abituale

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di Marina Castellaneta

Non basta la presenza dell’unico bene immobile di una persona fisica in un altro Stato membro a spostare la competenza del giudice del Paese della residenza abituale chiamato a decidere sull’insolvenza transfrontaliera.

È la Corte di giustizia Ue a stabilirlo con la sentenza del 16 luglio (C-253/19) che fa chiarezza sull’interpretazione dei titoli di giurisdizione fissati dal regolamento 2015/848 sulle procedure di insolvenza transfrontaliere nei casi in cui sia coinvolta una persona fisica che non esercita attività professionale o imprenditoriale.

La questione in via pregiudiziale è stata sollevata dalla Corte di appello di Guimarães (Portogallo) per stabilire la competenza giurisdizionale sulla richiesta di apertura di una procedura d’insolvenza di una coppia di coniugi residenti nel Regno Unito che, però, aveva chiesto ai giudici portoghesi l’apertura della procedura nei propri confronti.

In primo grado, l’istanza era stata respinta perché, in base all’articolo 3, n. 1, comma 4 del regolamento 2015/848, il centro degli interessi principali dei ricorrenti era quello della residenza abituale nel Regno Unito.

La coppia sosteneva, invece, di essere proprietaria di un unico bene immobile in Portogallo e di aver compiuto in quel Paese le transazioni e i contratti che avevano causato la situazione d’insolvenza.

Il regolamento Ue, che si occupa della competenza giurisdizionale internazionale - precisano gli eurogiudici – individua come titolo generale di giurisdizione, per le persone fisiche diverse da quelle che esercitano un’attività imprenditoriale o professionale indipendente, il centro degli interessi principali del debitore che, salvo prova contraria, è la residenza abituale.

Con un limite: la presunzione cade se la residenza abituale viene spostata in un altro Stato membro nei sei mesi precedenti la domanda di apertura della procedura d’insolvenza.

Per definire il centro degli interessi principali, poi, chiarisce la Corte, non si rinvia agli ordinamenti statali perché la nozione va interpretata in modo autonomo in tutto lo spazio Ue, per garantire l’applicazione uniforme del regolamento e assicurare la realizzazione effettiva delle finalità perseguite. Pertanto, il centro degli interessi principali è il luogo in cui il debitore «esercita in modo abituale, e pertanto riconoscibile dai terzi, la gestione dei suoi interessi».

È così indispensabile un’analisi in base a criteri obiettivi e verificabili da terzi, per garantire «la prevedibilità dell’individuazione del giudice competente ad aprire una procedura di insolvenza principale», anche per bloccare tentativi di elusione delle regole trasferendo i beni in un altro Stato soltanto con l’intento «di ottenere una posizione giuridica più favorevole a danno della massa dei creditori».

La valutazione globale sui criteri oggettivi e verificabili da terzi vale per qualsiasi debitore. Sono così incluse anche le persone fisiche per le quali va considerata la situazione patrimoniale ed economica. Di conseguenza, in questi casi, il centro principale degli interessi del debitore è o quello in cui la persona «gestisce i suoi interessi economici e dove la maggior parte dei suoi redditi sono percepiti e spesi» o il luogo in cui si trova la maggior parte dei suoi beni.

In via generale – precisa la Corte - questo luogo coincide con la residenza abituale e, quindi, se la presunzione non è ribaltata, sono i giudici dello Stato membro della residenza abituale a dover avviare la procedura di insolvenza. In ogni caso, per confutare la presunzione, non basta che i beni si trovino in un altro Stato perché è sempre necessaria una valutazione globale che spetta al giudice nazionale.

Corte di giustizia Ue – Sentenza C-253/19

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