Penale

La disponibilità a fare favori al mafioso fa scattare il voto di scambio politico-elettorale

di Patrizia Maciocchi


Anche la semplice disponibilità a fare favori all'esponente della cosca locale, fa scattare il reato di voto di scambio, a carico del politico. Non è, infatti necessario che la promessa spesa per raccogliere consensi elettorali si mantenga in tutti i casi, né che le condotte del candidato si traducano in un rafforzamento della consorteria. Elemento quest'ultimo che serve solo per contestare il diverso reato di partecipazione o concorso esterno all'associazione mafiosa. Non passa la tesi della difesa secondo la quale l'elemento della disponibilità è stato introdotto solo con la legge 43/2019. Ad avviso del ricorrente, infatti, il riferimento alla disponibilità compare nella novella del 2019, perché, pur essendo presente nei lavori parlamentari di riforma della norma del 2014, era stato espunto in sede di approvazione finale. La Corte di cassazione, con la sentenza 16201, respinge così il ricorso contro la misura cautelare dei domiciliari, considerata illegittima in assenza degli elementi che caratterizzano il reato di voto di scambio politico mafioso, previsto dall'articolo 416-ter del Codice penale. Ad iniziare dall'utilizzo della sopraffazione e della forza intimidatoria, come modalità per reperire i voti, che non ci sarebbe in quanto nel caso esaminato, l'esponente del clan avrebbe agito come singolo, in virtù di vincoli familiari. Né c'era, l'elemento delle utilità che, in base alla norma in vigore, non ancora modificata dalla legge 43, poteva essere solo denaro o altra utilità e non la semplice disponibilità a fare favori. Che nello specifico, oltre ad una lavatrice come bene materiale, consistevano nell'impegno ad una corsia preferenziale per una visita medica e nella promessa a dare un appoggio per una controversia sorta con il comune di Palermo. Del resto, si osservava nel ricorso, il dare una mano per saltare una lista d'attesa era un malcostume che nulla aveva a che vedere con la criminalità organizzata. E dunque irrilevante. Al pari della promessa di favori, anche in questo caso piuttosto in uso e fatti anche ad altri soggetti in tempi non sospetti. La Cassazione la pensa diversamente. Ad incastrare intanto il ricorrente c'erano delle intercettazioni, dalle quali non solo si evinceva l'esistenza del “patto”, ma anche la consapevolezza di averlo sottoscritto con un mafioso. Quanto all'utilità promessa, che in questo caso risulta anche perseguita, è stata individuata nella possibilità di gestire visite negli ospedali “di tutta la provincia di Agrigento” al di fuori dei canali ufficiali. Utilità e disponibilità – chiarisce la Cassazione – che possono essere anche di natura non patrimoniale. Nello specifico la promessa fatta si era anche concretizzata in un notevole numero di casi. Ed è ininfluente che le stesse utilità fossero state fornite anche ad altri.

Corte di cassazione – Sezione II – Sentenza 28 maggio 2020 n,16201

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