Professione e Mercato

Il rebus delle attività con più codici Ateco

di Maurizio Caprino

Tra le incertezze applicative del Dpcm del 22 marzo, un peso importante hanno quelle legate alle attività produttive che possono restare aperte. Per individuarle, anche questa volta il Governo ha scelto il criterio del codice Ateco (già utilizzato nel Dpcm dell’11 marzo), cosa che però crea problemi nei molti casi in cui un’impresa ne ha più di uno: come comportarsi se solo alcuni di essi sono nella lista di quelli esclusi dal blocco? Problemi anche sull’elenco delle attività commerciali: non è molto chiaro come coordinare i due Dpcm. Al momento, dal Governo non arrivano chiarimenti ufficiali. E in effetti non è facile decidere un orientamento.

Si potrebbe sostenere che basti adottare lo stesso criterio con cui il 12 marzo i Monopoli hanno risolto il problema dei tabaccai che possono stare aperti ma hanno hanno anche slot machine e videogiochi: è stato stabilito che sarebbe stato sufficiente disattivarli per consentire di tenere aperto l’esercizio.

Ma la situazione delle fabbriche è molto più complessa. La sempre maggiore diffusione di tecnologie flessibili fa sì che esistano molte linee di produzione in grado di lavorare diversi prodotti, secondo le componenti che si decide di immettervi di volta in volta. Quindi non basta stabilire che vanno fermate le linee dalle quali escono beni che non vengono ritenuti essenziali dal Dpcm. È questa la situazione che si sta prendendo in esame per capire quale indicazione applicativa può essere data.

Da questa indicazione dipenderà molto della sorte delle singole aziende, specie quelle che hanno molti rapporti con l’estero. Fermarsi significherebbe rischiare di non riprendersi: se clienti e/o fornitori stranieri sono di Paesi meno colpiti dalla pandemia, si rivolgeranno ad aziende di altri Paesi e, alla ripresa, si rischia di perdere la posizione acquisita. Senza contare che normalmente i contratti prevedono penali per chi non fornisce i propri prodotti o non ritira quelli che ha già ordinato.

Quanto alle attività commerciali, l’articolo 1 del Dpcm del 22 marzo, nella la parte conclusiva della lettera a), richiama il Dpcm precedente. Ciò lascerebbe intendere che gli esercizi autorizzati da quest’ultimo (come le ferramenta) possano restare aperti. Ma nascono perplessità, data l’architettura generale della norma. Infatti, l’articolo 2, comma 1 conferma che i due Dpcm si applicano «cumulativamente», ma non precisa (come invece fatto nei provvedimenti precedenti) che s’intendono abrogate le parti incompatibili delle norme precedenti. Perciò, in teoria, resterebbe valida la tabella allegata al Dpcm dell’11 marzo, cosa che vanificherebbe le restrizioni introdotte il 22. Così molti professionisti attendono chiarimenti prima di dare indicazioni ai propri clienti.

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